La mia scuola e l’inizio della mia adolescenza sono stati interrotti con l’ordine di fine agosto ’41.
Tutti i tedeschi del Volga dovevano lasciare la regione nel giro di pochi giorni. Tutto procedeva rapidamente.
Oggi mi ricordo la deportazione solo come un brutto sogno. Potevamo portare con noi solo il necessario, qualcosa da mangiare e alcuni vestiti, tanto quanto potevamo portare in poche valigie e cesti.
Siamo stati portati con dei carri al Volga; da lì un traghetto ci ha portato sulla riva orientale del fiume e poi siamo andati alla stazione.
Il viaggio in treno e durato per più di una settimana. Spesso sostava nelle stazioni ferroviarie anche per un giorno intero. Dove stavamo andando non lo sapevamo. Da qualche parte ad oriente, in Siberia, si diceva.
Finalmente, segnati dal lungo viaggio, siamo giunti nel territorio dall’Altai. C’erano già altri carri che ci aspettavano e ci portarono dalla stazione verso paesi lontani.
Eravamo fortunati perché tutta la nostra famiglia, comprese quelle dei fratelli di mio padre, è stata portata nello stesso luogo. Molte altre famiglie non hanno avuto tale fortuna: sono stati divisi.
Nel villaggio vivevano dei russi. Ricordo bene che dovevamo aspettare molto tempo lungo la strada principale del villaggio.
Tenevo la mia sorellina in braccio, aveva solo tre mesi. Una russa ci ha visti e mi ha scambiato per la madre della mia sorellina. Forse per questo ci ha accolti nella sua casa.
La donna aveva perso il marito in guerra. Si vedeva che non era facile per lei di accoglierci. Tuttavia, ci ha dato subito qualcosa da mangiare: un pezzo di zucca e qualche patata bollita. 2
1 Fra il 3 e il 20 settembre ’41 furono deportati 446.480 tedeschi di Russia,
suddivisi in 230 convogli di 50 vagoni in media: circa 2.000 persone per
convoglio.
Spostandosi di pochi chilometri orari, i convogli impiegavano fra le
quattro e otto settimane per arrivare a destinazione nelle province di Omsk e
Novosibirsk, in quella di Barnaul, nella Siberia meridionale e nel territorio di
Krasnojarsk, in Siberia orientale. …..
Già il 29 agosto ’41 Molotov, Malenkov e
Zdanov proposero a Stalin di “ripulire” la provincia di Leningrado ed il resto
del paese. …..
Il 30 agosto Berija (capo della
polizia segreta sotto Stalin) firmò una circolare che ordinava la deportazione
di 132.000 persone della provincia di Leningrado (fino al 26 gennaio '24 San
Pietroburgo), 96.000 in treno e 36.000 per via fluviale.
L’NKVD (Commissariato
del Popolo per gli Affari Interni) fece in tempo di arrestare solo e deportare
“soltanto” 11.000 cittadini sovietici di origine tedesca.
Nelle settimane
seguenti, analoghe operazioni si svolsero nelle province di Gor’kij (3.162
tedeschi di Russia deportati il 14 settembre), Mosca (9.640 il 15 settembre),
Krasnodar (38.136 il 15 settembre), Rostov (38.288 tra il 10 e il 21 settembre),
Tula (2.700 il 21 settembre), Zaporoz’e (31.320 dal 25 settembre al 10 ottobre),
Ordzonikidze (77.570 il 20 settembre).
Durante il mese di ottobre del ’41 la
deportazione colpì ancora oltre 10.000 tedeschi di Russia residenti in Georgia,
Armenia, Azerbaigian, nel Caucaso settentrionale ed in Crimea.
Da una
valutazione in cifre dell’evacuazione dei tedeschi di Russia risulta che alla
data del 25 dicembre del ’41 erano state deportate 894.600 persone, perlopiù nel
Kazakistan e in Siberia; se si tiene conte dei tedeschi di Russia deportati nel
’42, il totale arriva 1.209.430 unità, frutto di meno di un anno di operazioni,
dall’agosto del ’41 al giugno del ’42.
Ricordiamo che, secondo il censimento del
’39, la popolazione di origine tedesca nell’URSS era costituita da 1.427.000
persone.
Fu quindi deportato il 82% dei tedeschi di Russia, nello stesso momento
in cui la situazione nel paese sull’orlo dell’annientamento, avrebbe richiesto
che i contingenti militari e di polizia concentrassero tutti gli sforzi nella
lotta armata contro il nemico, anziché essere impegnati nella deportazione di
centinaia di milioni di innocenti cittadini sovietici di origine tedesca. In
realtà la percentuale di cittadini di origine tedesca colpiti dal provvedimento
era ancora più alta, se si tiene conto delle decine di miglia di soldati e
ufficiali di origine tedesca colpiti di origine tedesca espulsi dai ranghi
dell’Armata rossa e trasferiti nei battaglioni di disciplina dell’Armata del
lavoro, la cosiddetta Trudarmee, operante a Vorkuta, Kotlass, Kemerovo, Celjabimsk…….
Tratto da:I tedeschi del Volga
(ital.)
2 I Kolchoz nacquero
nel 1918 come cooperative volontarie di contadini, proprietari dei mezzi di produzione
usati, mentre la terra rimaneva di proprietà dello stato che la cedeva
gratuitamente in uso permanente al kolchoz, per ottenere produzioni maggiori
grazie all’impiego di moderne tecnologie fornite dallo stato sovietico.
Lo stato acquistava, a prezzi inferiori a quelli del mercato, i prodotti del
kolchoz per poi ridistribuirli in maniera egualitaria.
I soci erano retribuiti sulla base delle giornate lavorative svolte; inoltre
avevano a disposizione la loro casa e per ogni singola fattoria circa 0,3 ettari
di terra ad uso privato ed un po’ di bestiame.
Convincere il contadino russo ad entrare nel kolchoz e a mettere in comune la
sua terra e i suoi strumenti di lavoro non era facile perché era convinto
che la grande azienda e la sua gestione lo riportasse al servaggio, alla condizione
di dover lavorare per gli altri e non per se stesso.
L’adesione ai kolchoz saliva molto lentamente, per cui lo stato nel 1927
rese obbligatorio la partecipazione ad un kolchoz.
I primi aderenti ai kolchoz furono i contadini più poveri, mentre quelli
medi erano abbastanza esitanti ad entrarvi.
I contadini agiati, i kulaki, non erano per niente entusiasti della collettivizzazione.
Si rifiutavano di entrare nei kolchoz e ne ostacolarono la formazione mediante
sabotaggi, incendi dolosi e gli atti di sabotaggio crebbero vertiginosamente,
le sommosse e le azioni di guerriglia dovettero essere represse con la forza
e con l’impiego dell’armata rossa.
La grave crisi tecnica, dovuta alla mancanza dei macchinari, accelerò l’eliminazione
della classe dei kulaki: essi venivano espropriati di tutti i loro beni e deportati.
I contadini inoltre erano ostili a consegnare il grano e sono arrivati ad abbandonare
le semine primaverili e a macellare parte dei loro animali piuttosto che metterli
in comune.
Questo ha provocato un calo della produzione bovina attorno al 1930. La macellazione
dei cavalli ha provocato una riduzione della capacità di traino complessiva
e gli allevamenti dimezzati una carenza di generi alimentari e di lana; cominciò anche
a scarseggiare il letame, mentre la produzione di concimi chimici, che dovevano
essere forniti dallo stato, permaneva a livelli molto bassi. Per far fronte alla
diminuzione della produzione agricola, lo stato iniziò a farsi consegnare
una sempre maggiore quantità di prodotti, pagandoli agli stessi prezzi
del 1928, mentre nel frattempo il rublo si era svalutato.
Il 1932, anno in cui il raccolto si rivelò cattivo per il secondo anno
consecutivo, segnò l’inizio della carestia.