le testimonianze sulla trudarmee

Katharina Torno
ci descrive come ha vissuto nella Trudarmee

Katharina Torno
Katharina Torno

Avevamo appena fatto le radici nel piccolo villaggio quando nel ’42 tutti gli uomini tedeschi in età idonea al lavoro sono stati chiamati al lavoro nella Trudarmee.

Mio padre fu chiamato al taglio di legna negli Urali. Questo destino a noi donne ci raggiunse sei mesi più tardi.

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Alla fine del mese di dicembre siamo stati trasferiti. Avevo 16 anni. Mia madre seguiva la nostra colonna correndo e piangeva amaramente, non mi voleva far andare. Ci saremmo mai riviste? Sarebbe stato un addio per sempre?

Ebbene, io sono sopravvissuta a questa terribile esperienza. Ma passarono undici lunghi anni prima che ci saremmo potuto abbracciare di nuovo.

Ci hanno messe in un campo nella regione di Chelyabinsk. I prigionieri, che fino ad allora stavano lì sono stati trasferiti il giorno prima più ad est o a nord.

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Siamo entrate nelle baracche di legno. Una camera ospitava fino a 100 donne. Abbiamo dormito su pianali a tre piani. Al centro della camera c’era una stufa di ghisa. Sulle pareti camminavano le cimici ed altri parassiti.

Il giorno seguente siamo state suddivise in piccoli gruppi e portate nella foresta. Un capomastro ci ha mostrato come si tagliavano gli alberi. C’era tantissima neve e con grande sforzo siamo riuscite a liberare il posto da disboscare. Le prime volte abbiamo faticato molto. Il lavoro è stato molto difficile perché non sapevamo maneggiare una sega o un’ascia. Solo gradualmente ci abituammo a questo tipo di lavoro.

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Nel campo non c’erano solo le donne ma anche alcuni uomini con i quali non ci piaceva lavorare insieme. Noi donne eravamo più perseveranti. Tra di noi potevamo raggiungere meglio la “norma”.

Il cibo era estremamente povero. Chi riusciva a soddisfare la “norma”, riceveva 750 grammi di pane. Il pane veniva distribuito una volta al giorno, di mattina, nella sala da pranzo e doveva bastare per tutta la giornata.

Per la prima colazione e la cena c’era poi solo una zuppa. A volte si trovava un po' di pesce dentro, comunque la zuppa era sempre molto liquida e dava un senso di sazietà solo per un breve tempo.

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In estate, a volte, potevamo arricchire i nostri scarsi pasti con delle bacche e dei funghi che trovavamo nella taiga. Molti si amalarono e molti sono morti per malattie causate dalla malnutrizione. Era un momento molto difficile per noi.

Non ero in contatto con mia madre che non sapeva né scrivere né leggere. Solo attraverso parenti e conoscenti eravamo in grado di mandarci ogni tanto qualche segno di vita.

Ora a volte mi chiedono che cosa avessi provato allora e qual’erano le mie speranze. Beh, per chi deve vivere in tali condizioni, i suoi pensieri si concentrano solo sulle cose basilari: come posso sopravvivere e come arrivo a domani?

Uno delle mie più grandi preoccupazioni era di non ammalarmi. Questo spesso significava l'inizio della fine. Il cibo povero non bastava nella maggior parte dei casi a riabilitare gli ammalati gravi.

Le mie speranze e desideri di allora erano: di mangiare come si deve e di rivedere i miei genitori. A più non pensavo, altri desideri non mi venivano in mente1 .

continua ......

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