Il trasferimento del potere ai comunisti in Romania si verificò in seguito alle pressioni delle truppe sovietiche; nel marzo del 1945 prese il potere un governo comunista e, nel dicembre del 1947, il Re Michele di Hohenzollern, fu costretto a lasciare il paese. Politici e intellettuali furono internati e vennero vietati i partiti politici. L’economia venne posta sotto il controllo dello Stato, le scuole private e religiose furono sciolte, vennero intrapresi i primi passi per socializzare l’agricoltura. Tutti i cittadini di origine germanica vennero schedati, anche se non potevano essere responsabili degli eventi della guerra.
Nel gennaio del 1945, ebbe luogo la prima deportazione di uomini e donne per ricostruire l’Unione Sovietica; tra di loro c’erano circa 30.000 Sassoni di Transilvania. Fame, freddo e malattie decimarono il loro numero: circa un terzo perì terribilmente. Molti dei sopravvissuti lavorarono fino al 1952 come schiavi nelle miniere di carbone della Russia. Molti altri non ritornarono in Transilvania, ma vennero inviati nella Germania Est, occupata dai sovietici, dove sono rimasti separati dalle loro famiglie per decenni.
I Sassoni rimasti in Transilvania furono privati dei diritti politici per molti anni e, trattati come “Hitleristi”, sottoposti quindi alla libera volontà dei burocrati.
Durante la riforma agraria a circa 60.000 sassoni non venne riconosciuta la loro condizione di contadini e furono costretti a lasciare le loro fattorie, ricevendo indietro un indennizzo più che svalutato solo nel 1956. Nelle città, non solo le industrie e le banche furono poste sotto il controllo dello Stato, ma anche i commercianti e gli esercenti Sassoni subirono la confisca delle loro attività; anche le loro case cambiarono proprietario.
I Sassoni della Transilvania furono espressamente esclusi dai diritti per le minoranze promessi nel 1945 e non vennero ammessi a votare. Di tutte le atrocità, ai Sassoni della Transilvania furono risparmiati solo l’esilio e gli atti di vendetta personale che si erano verificati in altri paesi dell’Europa orientale per mano del popolo con cui avevano convissuto pacificamente per secoli. Alla Chiesa luterana fu permesso di continuare ad esistere; sotto la dittatura comunista, rimase l’unica istituzione dei Sassoni di Transilvania, il loro ultimo rifugio.
Dopo il 1949 le misure volte contro i Sassoni della Transilvania si ammorbidirono lentamente. Riaprirono scuole con programmi di studio in lingua tedesca, venne consentita la stampa di un giornale in lingua tedesca e riaprì un teatro tedesco. Nel 1956 venne riconosciuto lo status di minoranza etnica e le case ed i quartieri originariamente Sassoni vennero restituiti ai legittimi proprietari.
Indipendentemente da tutto, tra i Sassoni della Transilvania si verificò un cambiamento radicale. Fino al 1945 il 70% dei Sassoni erano contadini. Dopo meno di un decennio solo il 22% dei tedeschi erano impiegati in agricoltura, a lavorare nelle fattorie collettive comuniste. Molti Sassoni divennero operai nelle industrie.
Intanto il numero dei Sassoni tra i diplomati ed i laureati divenne sproporzionatamente elevato: molti genitori, ora senza proprietà personali, fecero grandi sacrifici per consentire ai loro figli di studiare; la cultura era l’unico patrimonio che potevano offrire ai loro figli.
Ed ancora una volta la sventura si accanì contro di loro, in quanto il regime comunista perseguiva soprattutto gli intellettuali, sino a condurli ad un procedimento penale. Le persecuzioni di scrittori e drammaturghi o l’incriminazione di studenti tedeschi, avvenute a metà degli anni cinquanta, ce ne danno la prova.
La nuova condizione dei Sassoni indebolì i legami con la Transilvania e turbò fondamentalmente il rapporto con lo Stato romeno, ma non però con il popolo rumeno che rimase praticamente tollerante e compassionevole nei confronti dei Sassoni nel corso degli anni. I tentativi da parte dello stato comunista per ristabilire la fiducia si rivelarono infruttuosi. Il dittatore Nicolae Ceaucescu ammise apertamente gli errori del passato, durante la sua “fase della riforma” degli anni Sessanta e volle che venisse istituito un Consiglio dei Lavoratori di nazionalità tedesca, che dovesse rappresentare la minoranza tedesca.
La sfiducia verso questi tentativi è stata poi giustificata sulla base delle politiche per le minoranze più tardi attuate dal dittatore. Parlò subito apertamente dell’intenzione di creare una nazione socialista completamente rumena. I nomi tedeschi delle città vennero vietati e tutto quello che i tedeschi avevano realizzato nel corso della storia non andava neanche menzionato. Una legge per la tutela della cultura nazionale proclamò la proprietà statale di tutti i beni privati, compresi libri e mobili. La dittatura divenne sempre meno sopportabile, con il suo apparato opprimente e fece crescere nel popolo il desiderio di libertà.
Tutti questi fattori spiegano il desiderio della maggior parte dei Sassoni di Transilvania di lasciare la loro patria. Inizialmente la preoccupazione era quello di riunire le famiglie lacerate durante e dopo la guerra. I soldati che erano stati deportati in Unione Sovietica, non poterono ritornare in Transilvania, perché erano stati rilasciati a Francoforte sull'Oder, ora cercavano di ricongiungersi ai loro parenti. Senza considerare l’unica ed esemplare azione della Croce Rossa, per mezzo della quale circa 1.000 rumeni-tedeschi poterono raggiungere la Germania nel 1951, solo dal 1958 il regime comunista permise l’emigrazione di un numero considerevole di Sassoni della Transilvania e di Svevi del Banato.
Quando poi la Romania e la Germania Ovest stabilirono formali relazioni diplomatiche, divennero possibili le visite ai parenti e questo letteralmente creò per gli altri un’altra possibilità di espatriare.
L’emigrazione accelerò dopo l’accordo per l’unificazione delle famiglie,
firmato nel 1978 dal cancelliere tedesco Helmut Schmidt e dal dittatore rumeno e circa 11.000
persone ottennero il permesso l’uscita. Malgrado questo accordo, gli emigranti
furono sottoposti a una serie di cavilli; quasi sempre era necessario rifare le
richieste di espatrio.
Prima della rivoluzione del 1989 in Romania, un totale di 242.326
rumeno-tedeschi si trasferirono dalla Romania alla Germania, circa la metà erano
Sassoni di Transilvania. Quelli rimasti scelsero la solitudine; parenti, amici,
vicini di casa erano partiti; asili scuole vennero chiuse per mancanza di
alunni. Solo 96.000 Sassoni di Transilvania vivevano in Romania quando il
dittatore fu deposto e, dopo l’apertura delle frontiere, non c’era nient’altro a
trattenerli: entro un breve periodo solo 25.000 Sassoni rimasero in patria.
La Chiesa luterana nel 1989 fondò Forum Democratico di tedeschi in Romania che è rappresentato nel nuovo parlamento rumeno e sostenuto dal governo tedesco. Il Forum aveva introdotto misure economiche e culturali, in particolare nelle scuole, per stabilizzare la popolazione tedesca. Tuttavia, la maggioranza dei giovani ha lasciato il paese. Le attività culturali in Transilvania sono attuate da Sassoni di 60-70 anni.
In Germania gli emigranti si sforzano per l’integrazione. Esse esprimono il desiderio di vivere come i tedeschi tra i tedeschi. La conoscenza e la comprensione della lingua tedesca è relativamente buona questo consente una transizione agevole. Le questioni di identità sono marginali ed entro un breve periodo i Sassoni di Transilvania sono diventati completamente cittadini tedeschi, e sono spesso di grande successo.
La nostalgia é comprensibile per i
Sassoni della Transilvania più anziani, mentre i più giovani si sono adeguati
rapidamente alla vita di tutti i giorni e non sono distinguibili dai
connazionali locali. Tuttavia, l’integrazione è legata all’identificazione con
il passato; ciò risulta evidente con il costante interesse della storia e
cultura dei Sassoni della Transilvania.